28 Marzo 2024

Il fakevirus corre sul tir

Per un ricercatore del CNR il Covid potrebbe essere diffuso dai camionisti, ma un test su 2.880 trasportatori della bergamasca lo smentisce.

E c’è chi ipotizza che il virus viaggi sul particolato: ma per gli scienziati è tutto da dimostrare

E’ durato poco l’idillio tra gli italiani e gli “eroi dell’autotrasporto”, quelli ricordati fino a metà marzo perfino da papa Francesco. Due settimane dopo, il professor Giovanni Sebastiani, dell’Istituto per le Applicazioni del Calcolo del CNR, nel rilevare che le città con il maggior numero di contagi “giacciono” sulle maggiori autostrade italiane, aggiungeva: “Sarebbe interessante determinare con che frequenza sono stati colpiti dal virus gli autotrasportatori”, trasformando così in “untori”, gli “eroi” di due settimane prima. C’è da dire che Sebastiani, matematico e non virologo, ha poi precisato che la sua è “solo una correlazione” e, dunque, “si potrebbero invertire i termini dicendo che le province maggiormente colpite hanno capoluoghi con grande popolazione ed è naturale che si trovino lungo direttrici autostradali con elevato flusso”. Poi, però, tre giorni dopo al Corriere della Sera ha aggiunto che è “meno probabile che il veicolo (del virus) siano state le automobili private”, senza spiegare le ragioni di tale minore probabilità.

Teoria “abbastanza bislacca” ha definito la sortita di Sebastiani il vicepresidente di Conftrasporto, Paolo Uggè. Mentre a fornire risposta al matematico è stato l’Ebitral di Bergamo, ente composto dalla locale Fai e dai sindacati di categoria di Cgil, Cisl e Uil. In un’indagine su 2.880 trasportatori della provincia più colpita dalla pandemia, soltanto lo 0,56% è risultato positivo, nei giorni in cui la percentuale di contagiati tra i sottoposti a tampone era il 15,1% in Italia e il 28,5% in Lombardia.

Qualcuno poi alle autostrade ha aggiunto le ferrovie. Secondo Marino Gatto, professore del Politecnico di Milano, “in Italia l’epidemia di Covid-19 ha mosso velocemente i prima passi seguendo i percorsi delle principali infrastrutture di trasporto, ovvero ferrovie e autostrade.”. Lo dimostrerebbe il fatto che “il maggiore focolaio si è sviluppato in Lombardia”. Nella Pianura Padana, dove le vie di trasporto sono a reggiera, il virus si è diffuso su cerchi concentrici via via più larghi. Quindi “si è propagato in Veneto ed Emilia-Romagna, prendendo la via Emilia per scendere verso le Marche”. Gli Appennini, conclude, hanno fatto da tappo e “i focolai della Liguria si sono prorogati verso la Toscana, seguendo la tratta da La Spezia verso Lucca e Firenze”.

Ipotesi verosimile, a condizione di ritenere le infrastrutture non il veicolo del virus, ma delle persone che lo diffondono. Si chiede, con ironia, ancora Uggè: “La verità non sarà laddove esistono più attività e risiedono un maggior numero di persone l’epidemia si espande di più? Troppo semplice per dedicarci uno studio>?”.

La fantasia dei ricercatori si è poi scatenata per attribuire la diffusione del virus al particolato e, dunque, a tutto il trasporto su gomma, proprio nei giorni in cui veniva pubblicato il rapporto dell’Ispra secondo cui nel 2018 il trasporto stradale risulta responsabile solo del 12% del PM10, con un calo di oltre il 60%, mentre la principale fonte di emissione è il riscaldamento con il 54%.

Un’inchiesta del Fatto Quotidiano, peraltro, riporta che la comunità scientifica è divisa sull’ipotesi che la “diffusione” del Covid sia favorita dall’inquinamento. Intendiamoci: è evidente che un virus che colpisce le vie aeree fa più danno dove il tasso di inquinamento è più elevato, ma il punto è se lo smog “trasporta” il virus favorendone la propagazione. E questo è un altro discorso. Pure Leonardo Setti, coordinatore del gruppo di ricerca (composto da Sima con le università di Trieste, Bari, Bologna e Napoli) che ha accertato la presenza del virus nel particolato, ha ammesso che non è dimostrato che questa sia una nuova via di contagio, mentre l’epidemiologo Luigi Lopalco dell’Università di Pisa ha tagliato così la testa al toro: “L’inquinamento fa male, ma con Covid-19 ho paura che c’entri poco. Non sensate che l’aria fresca possa fermare il contagio: il virus corre con le nostre gambe, non con i PM10”.

Parole che non sono bastate a fermare l’ambientalismo formato social. I commenti all’articolo del Fatto sono 156 e ricorrono ad argomentazioni di ogni tipo, ma nessuno distingue il rapporto inquinamento-malattie polmonari (accertato) da quello particolato-Covid (da dimostrare).

Argomenti assai diversi da quelli usati da Alessandro Manzoni nella sua Storia della colonna infame, dura condanna letteraria contro ogni caccia all’untore, tramite una ricostruzione storica del processo, concluso con la condanna a morte, contro due innocenti accusati dalle voci del popolo (i forum dell’epoca) di aver propagato la peste a Milano. Manzoni scriveva 180 anni fa. Allora esisteva la parola scritta, non tracimava ancora quella digitata.


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