Il mondo è a corto di materie prime
“Le forniture di microchip prodotti dal Far East hanno messo in crisi la produzione di tecnologie nel momento in cui smart working, webinar e DAD ne facevano aumentare la domanda. Ma la crisi più forte è quella delle materie prime, la cui mancanza ha fatto schizzare in alto i prezzi (l'acciaio è aumentato del 130%) mettendo in crisi intere filiere. A cominciare dall'edilizia e dall'automotive”
C’è un'altra tempesta perfetta che si sta addensando sull'economia mondiale a causa degli squilibri causati dalla pandemia: la mancanza di materie prime, bloccate, sì, dalla carenza di container, ma anche da un'esplosione della domanda da parte dell'industria mondiale che sta riprendendo la marcia e, da una parte, cerca di recuperare rapidamente il terreno perduto dopo le chiusure dei lockdown, mentre dall'altra si affanna a fare scorte, nel timore che la pandemia torni a colpire.
L’ALLARME PARTE DAI MICROCHIP
C’è un'altra tempesta perfetta che si sta addensando sull'economia mondiale a causa degli squilibri causati dalla pandemia: la mancanza di materie prime, bloccate, sì, dalla carenza di container, ma anche da un'esplosione della domanda da parte dell'industria mondiale che sta riprendendo la marcia e, da una parte, cerca di recuperare rapidamente il terreno perduto dopo le chiusure dei lockdown, mentre dall'altra si affanna a fare scorte, nel timore che la pandemia torni a colpire.
L’ALLARME PARTE DAI MICROCHIP
In questa situazione i primi segnali d'allarme sono arrivati con la ripresa di inizio primavera dal mondo dei microchip, quei microscopici dispositivi grandi qualche nanometro (un miliardesimo di metro) e fabbricati con i semiconduttori semi- metalli come il silicio, più resistenti dei conduttori, ma meno degli isolanti che costituiscono il cervello di ogni apparecchio tecnologico, dal forno a microonde ai missili balistici, passando per decine di componenti delle automobili (finestrini, airbag, sensori, computer di bordo) e per gli smartphone.
Nella produzione di microchip, ormai, il Far East ha superato gli USA, ma i lockdown, alternandosi nelle varie parti del mondo, hanno sconvolto il sistema delle forniture e reso complicato farli arrivare in tempo in molte aree dove si concentra la produzione di tecnologie, come la Silicon Valley, proprio nel momento in cui gli stessi lockdown facevano decollare la domanda di apparecchiature elettroniche per smart working, webinar, didattica a distanza.
Ne è stata colpita anche l'onnipotente Apple, costretta a riprogrammare la produzione dei nuovi iPad e MacBook, per privilegiare le componenti per il nuovo iPhone 13, in arrivo nel prossimo autunno. Ed è in difficoltà l'altrettanto potente Sony: la sua Playstation 5 a sei mesi dall'uscita sul mercato è ancora introvabile.
Nella produzione di microchip, ormai, il Far East ha superato gli USA, ma i lockdown, alternandosi nelle varie parti del mondo, hanno sconvolto il sistema delle forniture e reso complicato farli arrivare in tempo in molte aree dove si concentra la produzione di tecnologie, come la Silicon Valley, proprio nel momento in cui gli stessi lockdown facevano decollare la domanda di apparecchiature elettroniche per smart working, webinar, didattica a distanza.
Ne è stata colpita anche l'onnipotente Apple, costretta a riprogrammare la produzione dei nuovi iPad e MacBook, per privilegiare le componenti per il nuovo iPhone 13, in arrivo nel prossimo autunno. Ed è in difficoltà l'altrettanto potente Sony: la sua Playstation 5 a sei mesi dall'uscita sul mercato è ancora introvabile.
IN CRISI ANCHE L’AUTOMOTIVE
Inevitabili le ripercussioni sull'automotive. General Motors ha sospeso la produzione in tre stabilimenti negli USA e dimezzato quella in due impianti in Corea, Ford ha tagliato il 20% della produzione nel primo trimestre del 2021.
Stellantis la nuova creatura nata dal connubio tra i gruppi PSA e Fiat Chrysler Automobiles ha fermato cinque centri di produzione tra USA, Canada e Messico e per dieci giorni quello di Melfi. Ma, come hanno scritto Brendan Murray, Enda Curran e Kim Chipman, tre analisti della multinazionale dei media Bloomberg, “il mondo è a corto di tutto”. Perché il fenomeno che ha colpito prima di tutti il settore dei semiconduttori, abituato a lavorare just in time, per ridurre al minimo il magazzino e abbasserei costi, oggi sta dilagando in altri segmenti di mercato rame, ferro, acciaio, mais, caffè, grano, soia, legname, plastica, legname, resine mettendo in difficoltà filiere complete e interi settori produttivi. Come la filiera della plastica. É sempre più difficile ricevere polipropilene, cloruro di polivinile e polietilene, proprio in un periodo in cui “la domanda di alcune materie prime utilizzate per articoli protettivi contro il Covid-19”, ha sottolineato Ron Marsh, presidente della Polymers for Europe Alliance, “è estremamente elevata”. Un recente sondaggio tra le oltre 50 mila aziende europee di trasformazione della plastica ha dimostrato che oltre il 90% di loro è colpito dalla crisi degli approvvigionamenti e molti sono costretti a ridurre la produzione e a non accettare nuovi clienti per poter onorare gli accordi esistenti.
AUMENTI SPROPOSITATI
Stellantis la nuova creatura nata dal connubio tra i gruppi PSA e Fiat Chrysler Automobiles ha fermato cinque centri di produzione tra USA, Canada e Messico e per dieci giorni quello di Melfi. Ma, come hanno scritto Brendan Murray, Enda Curran e Kim Chipman, tre analisti della multinazionale dei media Bloomberg, “il mondo è a corto di tutto”. Perché il fenomeno che ha colpito prima di tutti il settore dei semiconduttori, abituato a lavorare just in time, per ridurre al minimo il magazzino e abbasserei costi, oggi sta dilagando in altri segmenti di mercato rame, ferro, acciaio, mais, caffè, grano, soia, legname, plastica, legname, resine mettendo in difficoltà filiere complete e interi settori produttivi. Come la filiera della plastica. É sempre più difficile ricevere polipropilene, cloruro di polivinile e polietilene, proprio in un periodo in cui “la domanda di alcune materie prime utilizzate per articoli protettivi contro il Covid-19”, ha sottolineato Ron Marsh, presidente della Polymers for Europe Alliance, “è estremamente elevata”. Un recente sondaggio tra le oltre 50 mila aziende europee di trasformazione della plastica ha dimostrato che oltre il 90% di loro è colpito dalla crisi degli approvvigionamenti e molti sono costretti a ridurre la produzione e a non accettare nuovi clienti per poter onorare gli accordi esistenti.
AUMENTI SPROPOSITATI
Perché quando va bene si tratta solo di ritardare le consegne di un paio di mesi. “l tempi di sono allungati enormemente”, ha spiegato al Sole 24 Ore il presidente di Federmeccanica, Alberto dal Poz, “anche di otto settimane rispetto agli standard. Inoltre la qualità media si è abbassata, talvolta arriva materiale inadeguato”. Ma molto più spesso ai ritardi si aggiunge un costo che l'esplosione della domanda sta facendo decollare vertiginosamente.
L'esempio più clamoroso è quello dei pomodori pelati: a metà estate rischiano di mancare del tutto le bobine di banda di stagnata per fabbricare le scatole di latta (fatte di ferro e stagno) che li contengono. Non se ne trovano e il costo di quelle che si trovano è schizzato, rispetto al pre-Covid, da 400 a più di mille dollari a tonnellata.
Nello stesso intervallo di tempo, il nichel e lo zinco sono aumentati del 51%, il rame del 47%, l'alluminio del 26%, il legno per pallet del 20%, la soia del 15%, il grano del 12%. Ma è soprattutto l'acciaio a preoccupare: nei primi tre mesi di quest'anno il prezzo è cresciuto “soltanto” del 40%, ma il balzo è stato del 130% tra novembre 2020 e febbraio 2021.
Ne è colpita soprattutto l'edilizia, dove, gli aumenti medi di tutti i materiali impiegati è del 40%. L'Ance, l'associazione nazionale dei costruttori, a fine marzo ha lanciato l'allarme, dettagliando le percentuali dei rincari. “ll caro materiali non è più sostenibile per le imprese”, ha scritto al governo, sperando in una revisione dei prezzi degli appalti. “Con un aumento del 130% dell'acciaio, del 40% dei polietileni, del 17% del rame e del 34% del petrolio e, anche la difficoltà di approvvigionamento, tanti cantieri pubblici e privati rischiano di bloccarsi con gravi ripercussioni conseguenza, economiche e sociali”.
Finora le imprese sono riuscite ad assorbire i rincari, ma prima questi o poi finiranno per scaricarsi sui consumatori finali. “Perfino il prezziario di riferimento per il superbonus 110”, spiega paradossalmente Paolo Bassani, presidente degli edili di Confartigianato Veneto, per rendere l'idea della situazione, “è ormai inadeguato e a rischio è tutta la filiera collegata alle costruzioni e ristrutturazioni”.
RISCHI PER LA RIPRESA
L'esempio più clamoroso è quello dei pomodori pelati: a metà estate rischiano di mancare del tutto le bobine di banda di stagnata per fabbricare le scatole di latta (fatte di ferro e stagno) che li contengono. Non se ne trovano e il costo di quelle che si trovano è schizzato, rispetto al pre-Covid, da 400 a più di mille dollari a tonnellata.
Nello stesso intervallo di tempo, il nichel e lo zinco sono aumentati del 51%, il rame del 47%, l'alluminio del 26%, il legno per pallet del 20%, la soia del 15%, il grano del 12%. Ma è soprattutto l'acciaio a preoccupare: nei primi tre mesi di quest'anno il prezzo è cresciuto “soltanto” del 40%, ma il balzo è stato del 130% tra novembre 2020 e febbraio 2021.
Ne è colpita soprattutto l'edilizia, dove, gli aumenti medi di tutti i materiali impiegati è del 40%. L'Ance, l'associazione nazionale dei costruttori, a fine marzo ha lanciato l'allarme, dettagliando le percentuali dei rincari. “ll caro materiali non è più sostenibile per le imprese”, ha scritto al governo, sperando in una revisione dei prezzi degli appalti. “Con un aumento del 130% dell'acciaio, del 40% dei polietileni, del 17% del rame e del 34% del petrolio e, anche la difficoltà di approvvigionamento, tanti cantieri pubblici e privati rischiano di bloccarsi con gravi ripercussioni conseguenza, economiche e sociali”.
Finora le imprese sono riuscite ad assorbire i rincari, ma prima questi o poi finiranno per scaricarsi sui consumatori finali. “Perfino il prezziario di riferimento per il superbonus 110”, spiega paradossalmente Paolo Bassani, presidente degli edili di Confartigianato Veneto, per rendere l'idea della situazione, “è ormai inadeguato e a rischio è tutta la filiera collegata alle costruzioni e ristrutturazioni”.
RISCHI PER LA RIPRESA
Quanto durerà? E quando gli aumenti si manifesteranno sul mercato? Il dibattito è aperto e discorde.
Gli ottimisti vedono in questo squilibrio un segno della ripresa, ma sono in pochi. “ln queste condizioni la ripresa è già compromessa”, sostiene Fausto Bosa, presidente di Confartigianato Imprese Asolo Montebelluna, dove opera il più importante distretto italiano della calzatura sportiva. “Anzi”, aggiunge, “stiamo attendendo il momento in cui si scaricherà a terra”. Altrettanto pessimistico il ragionamento di Alessandro Plateroti, vicedirettore del Sole 24 Ore, nel corso di un focus di Radio24: premesso che “prima o poi” gli aumenti andranno a finire sui prezzi al consumo, “è ovvio che avremo un aumento dell'inflazione. Ma c'è di peggio. Se le imprese non possono aumentare i prezzi al consumo (perché lo vediamo che c'è una crisi) questo significa che dovranno abbassare i costi da un'altra parte, e quello è il lavoro. Una ristrutturazione che sarà molto legata all'andamento delle materie prime e questo è il paradosso del costo sociale di questa crisi. Una conferma di questa analisi viene dalle stime del Logistics Managers Index un indice elaborato dalle università americane, con interviste mensili ai responsabili della logistica delle imprese USA citato dai tre ricercatori di Bloomberg. L'indice attuale è al secondo livello più alto nei record risalenti al 2016 e l’indicatore futuro mostra pochi cambiamenti nel prossimo anno”.
Ad aprile 2021 le stime del Logistics Managers Index parlavano di una ridotta capacità di trasporto, nonostante l’ulteriore aumento della domanda. Così i costi di trasporto delle aziende saliranno e le imprese potrebbero aumentare a loro volta i prezzi di vendita dei prodotti al consumatore e portare, di conseguenza, a un aumento dell'inflazione. Ma tra le cause dell'incremento dei costi dei trasporti, l’indice cita la difficoltà di produrre nuovi camion o nuove navi nel breve periodo, una difficoltà che la mancanza di materiali per l'automotive non fa che accentuare. E la crisi nata dalla pandemia più che una tempesta perfetta si rivela un pericoloso serpente. Un serpente che si morde la coda.
Gli ottimisti vedono in questo squilibrio un segno della ripresa, ma sono in pochi. “ln queste condizioni la ripresa è già compromessa”, sostiene Fausto Bosa, presidente di Confartigianato Imprese Asolo Montebelluna, dove opera il più importante distretto italiano della calzatura sportiva. “Anzi”, aggiunge, “stiamo attendendo il momento in cui si scaricherà a terra”. Altrettanto pessimistico il ragionamento di Alessandro Plateroti, vicedirettore del Sole 24 Ore, nel corso di un focus di Radio24: premesso che “prima o poi” gli aumenti andranno a finire sui prezzi al consumo, “è ovvio che avremo un aumento dell'inflazione. Ma c'è di peggio. Se le imprese non possono aumentare i prezzi al consumo (perché lo vediamo che c'è una crisi) questo significa che dovranno abbassare i costi da un'altra parte, e quello è il lavoro. Una ristrutturazione che sarà molto legata all'andamento delle materie prime e questo è il paradosso del costo sociale di questa crisi. Una conferma di questa analisi viene dalle stime del Logistics Managers Index un indice elaborato dalle università americane, con interviste mensili ai responsabili della logistica delle imprese USA citato dai tre ricercatori di Bloomberg. L'indice attuale è al secondo livello più alto nei record risalenti al 2016 e l’indicatore futuro mostra pochi cambiamenti nel prossimo anno”.
Ad aprile 2021 le stime del Logistics Managers Index parlavano di una ridotta capacità di trasporto, nonostante l’ulteriore aumento della domanda. Così i costi di trasporto delle aziende saliranno e le imprese potrebbero aumentare a loro volta i prezzi di vendita dei prodotti al consumatore e portare, di conseguenza, a un aumento dell'inflazione. Ma tra le cause dell'incremento dei costi dei trasporti, l’indice cita la difficoltà di produrre nuovi camion o nuove navi nel breve periodo, una difficoltà che la mancanza di materiali per l'automotive non fa che accentuare. E la crisi nata dalla pandemia più che una tempesta perfetta si rivela un pericoloso serpente. Un serpente che si morde la coda.
Fonte: Uomini e Trasporti – luglio 2021